Buenos Aires, una svolta pro business (Il Sole 24 Ore29 Jun 2016Roberto Da Rin)
Restano alte inflazione e disoccupazione ma partono piani di rilancio per favorire le imprese
C hissà, potrebbe essere un’Argentina 2.0 quella di Mauricio Macri. Certo, è presto per dirlo, sei mesi di governo sono pochi e il Congresso di Buenos Aires gode ancora del chiarore di un’insperata luna di miele tra governo e opposizione. O forse una pace armata.
Comunque sia, la lunga stagione dei governi di Nestor Kirchner (2003-2007) e poi della moglie Cristina Fernandez (2008-2015) è superata. La prima fase ha sortito effetti positivi, per il Paese e per gli argentini, la seconda ha assunto modalità e forme di governo che gli argentini hanno sofferto, in quanto troppo dirigiste. Soprattutto negli ultimi tre anni.
Ora il peronismo in salsa socialista della coppia presidenziale ha lasciato spazio al liberismo di Macri, 57 anni, ingegnere, figlio di un immigrato calabrese, Franco, che in Argentina ha costruito un impero. Edilizia innanzitutto, ma anche gas, trasporti, agroalimentare, assicurazioni. E il calcio naturalmente.
Mauricio Macri, prima di approdare alla Casa Rosada è stato Capo del governo della città di Buenos Aires e, dal 1995, presidente del Boca Juniors, una delle squadre più forti del mondo. Il presidente gode di un favore elettorale e potrà in questa fase iniziale di governo imprimere le svolte necessarie, senza però applicare ricette troppo sbilanciate a destra. Gli ayatollah del liberismo, in questo Paese australe, sono odiati e temuti. Gli anni Novanta, quelli del presidente Carlos Menem e del ministro dell’Economia, Domingo Cavallo, restano nella memoria collettiva come quelli prodromici al default del 2001.
Oggi l’Argentina è afflitta da una grave recessione, non superata, un’inflazione alle stelle (superiore al 30% annuo), una disoccupazione in crescita. Fattori che sono sì l’eredità del governo di Cristina Fernandez, ma anche la conferma del prosieguo di un modello economico da troppo tempo vincolato al ciclo delle materie prime agricole.
Gli analisti finanziari e buona parte degli economisti argentini guardano con ottimismo alla nuova stagione di Macri: meno statalismo, più mercato, più aperture commerciali. Pochi giorni fa a Roma, in un seminario organizzato da Roberto Montoya, direttore di Mediatrends, dal titolo “Macri e il nuovo cambio politico in America Latina”, tutti i partecipanti hanno espresso ottimismo. E a Buenos Aires gli operatori economici interpellati dal Sole-24Ore, non dissimulano fiducia nel nuovo corso.
Giorgio Alliata di Montereale, consigliere delegato della Techint, è il nuovo presidente della Camera di Commercio Italiana in Argentina, l’antica associazione degli imprenditori italiani, fondata nel 1884. Alliata commenta così: «Il nuovo corso è sostenuto da tecnocrati capaci di imprimere un cambio. La liberalizzazione del mercato dei cambi è stato il primo segnale positivo che prelude a nuove scelte coraggiose». I settori su cui gli imprenditori italiani potrebbero scommettere? «TecIl Plan Belgrano è una sorta di Piano Marshall per il nord del Paese, un rilancio infrastrutturale che offre spazio alle grandi imprese italiane per la realizzazione di autostrade, treni, ferrovie e dighe. È un’opportunità per le grandi imprese, ma anche per le Pmi, che possono trovare inserzioni, joint venture con società argentine. Le piccole e medie imprese italiane hanno opportun ità di crescita anche nei settori dell’agroindustria, dell’ortofrutta, delle energie rinnovabili, dell’automazione. nologie, macchinari, disegno, energie rinnovabili, automazione». Ma non solo: «C’è tutta la matrice energetica da ricomporre – dice Alliata – e anche qui c’è spazio per la expertise italiana».
Opportunità per le grandi imprese ma anche per le Pmi: il Plan Belgrano è una sorta di Piano Marshall per il nord del Paese, un rilancio infrastrutturale che offre spazio alle grandi imprese italiane per la realizzazione di autostrade, treni, ferrovie e dighe. Le piccole e medie imprese italiane possono trovare inserzioni, joint venture con società argentine nel variegato mondo dell’agroindustria e dell’ortofrutta.
Analizzando i primi provvedimenti adottati si percepisce una svolta favorevole alle imprese. Oggi sono in vigore le licenze automatiche per 12mila categorie merceologiche su 15mila, concesse entro 72 ore. Ciò che non è coperto dalle licenze automatiche (3mila licenze), viene valutato caso per caso. Un cambiamento radicale rispetto a gli ultimi 15 anni, in cui i rapporti commerciali con Buenos Aires sono stati tesi.
I provvedimenti pro-business non debbono però i ndulgere verso eccessivi ottimismi. «Va sempre privilegiata l’ipotesi – spiega Enzo Farulla, economista italiano, da tempo residente a Buenos Aires – di partnership con una impresa locale, producendo in loco. Il “mordi e fuggi” dell’imprenditore italiano, interessato a incassare con l’export non è consigliato».
Intanto i prezzi delle commodities sembra che risalgano.I grafici del Pil argentino, da più di un secolo, mostrano la solita sinusoide, una curva di alti e bassi vincolata ai prezzi del grano, ora della soia. Il benessere (relativamente) diffuso alternato all’asprezza di gravissime crisi. Sullo sfondo un Paese che produce cibo per 400 milioni di persone ma non riesce a sfamare tutti i suoi 40 milioni di abitanti.
L’Argentina ha certamente bisogno di un rilancio economico ma anzitutto di ritrovare quella coesione sociale troppo a lungo mancata. Dal libro “All’improvviso, la verità”, Conversazione con Elsa Osorio, a cura di Cristina Guarnieri, pubblicato da Castelvecchi, emerge, tra le altre cose, proprio una istanza sociale: l’urgenza interiore di recuperare una speranza collettiva.